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Quando,
nel luglio del 1937, sulla Cote des Maures, Alice Rivaz trascorre
le sue giornate di vacanza “sdraiata sulla sabbia, a scarabocchiare
tra un bagno e l’altro una specie di confuso brogliaccio”,
primo seme di un romanzo in procinto di fiorire, gli scrittori francesi
in attività sono Gide, Claudel, Colette, Bernanos, Mauriac,
Céline, Girardoux. Tutti autori di grande rilievo che hanno
già pubblicato i loro libri più importanti.
Sartre e Camus accederanno alla ribalta letteraria più tardi
ed eserciteranno un’influenza reale solo nel dopoguerra. Saint-Exupéry
non ha ancora pubblicato Terre des Hommes, Martin du Gard
sta scrivendo la fine di Thibault, Aragon è in procinto
di scrivere Le Voyagers de l’Impériale, e Nathalie
Serraute, Beckett, Robbe-Grillet, Claude Simon non si riveleranno
che negli anni Cinquanta.
L’originalità di Nuvole fra le mani deve essere
analizzata in funzione delle ‘regole’ letterarie vigenti
prima della guerra. Non sappiamo nemmeno se lei abbia già scoperto
Virginia Woolf o se abbia già avuto modo di apprezzare i racconti
di Katherine Mansfield, della quale occuperà la stanza, molti
anni più tardi, in un sanatorio di Montana. Lo sa che a Parigi,
Grasset ha appena pubblicato Bois-Mort e Le Cavalier
de Paille di Monique Saint-Hélier?
Probabilmente non immagina nemmeno che il romanzo psicologico francese
tradizionale è in punto di morte quando inventa, per servire
le proprie necessità narrative, un modo diverso di esprimere
la vita.
Nei giorni in cui scrive questo suo primo romanzo tra le sue influenze
si incontrano quelle di Tolstoi, di cui aveva letto Guerra e pace
e di Cechov, oltre ai romanzi inglesi che adora. A queste opere vanno
aggiunte i libri di Charles Louis Philippe, Viaggio al termine
della notte di Céline e la lingua perfetta di Colette.
Ma, di fatto, la Rivaz legge di tutto e ogni libro letto vive dentro
di lei.
Quanto a Monique Saint-Hélier, solamente un caso gliel’ha
fa conoscere proprio durante la stesura di Nuvole fra le mani:
la lettura de Le Cavalier de Paille la incanta.
I personaggi del romanzo vivono e si muovono a Ginevra,
anche se si rischierebbe di cercare invano nelle descrizioni della
città. Giusto una dozzina d’evocazioni in 200 pagine,
tutti legati allo stato d’animo dei personaggi. Ecco qualche
esempio di questa tecnica, pressoché nuova negli anni Quaranta.
Alle sette del mattino, Madame Lorenzo apre gli scuri di una camera:
“Giù, fra gli alberi della piazza, erano almeno cinque
giorni che non spazzavano le foglie gialle che cadevano dagli olmi.
Si vedeva proprio che erano a Ginevra. Non era come nelle altre città
di questo Paese dove non si lascia per terra neanche un fiammifero”.
Saintagne va a lavorare: “Foglie morte piroettavano attorno
alla pompa di benzina dipinta di rosso, davanti all’autofficina.
Inspirò grandi boccate di vento. Sì, era fresco, anzi
freddo. Ma puah! Che odore! Roba da disgustare narici umane come le
sue, disponibili solo per l’erba e la lavanda. Ficcava il suo
naso d’appertutto, il vento; lambiva il bordo del marciapiede
dietro ai cani, si rotolava sotto il tetto dell’autofficina,
cacciava il naso nel cofano e nel motore delle macchine. E dopo tutte
queste belle passeggiate, eccolo nelle sue narici! Ah! Puzzava di
pozzi di petrolio, di depositi di carbone e di automobili con il mal
di pancia”.
Christianne Auberson, che impartisce lezioni di pianoforte per vivere,
esce di casa sua a fine mattinata: “Tutta la via era piena di
vento, che se la prendeva con i manifesti, schiaffeggiava le guance
dei passanti e gettava manciate di foglie gialle dappertutto. Ma lei
trovava che il tempo fosse splendido. Pareva che le case stessero
per mettersi a gridare, a parlare con tutte le loro finestre che assomigliavano
a bocche spalancate, oppure che cambiassero forma, che s’inclinassero,
poi si rialzassero e stessero ben dritte per resistere al vento, e
dopo si piegassero una dietro l’altra, oscillassero come olmi,
per fuggirsene poi tutte in fila seminando imposte e camini per le
strade insieme alle foglie cadute dagli alberi”.
Più tardi, Christianne rientra in compagnia di Saintagne: “Le
afferrò un braccio, ma lei lo respinse, continuò a camminare
dritta davanti a sé, fra i tram, davanti a un camion, poi scomparve
in un gruppo di ciclisti. E lui le correva dietro, col cuore in gola,
e non sapeva più se camminasse in mezzo a tutte quelle macchine
a ruote e a motore, oppure in mezzo al rumore che facevano”.
L’animismo di tutte queste descrizioni scritte secondo la tecnica
del punto di vista inserito, corrispondono al progetto di Alice Rivaz
di raggiungere il lettore attraverso le sensazioni provate dai personaggi.
Sensazioni, e non sentimenti, poiché questa è la caratteristica
di Nuvole fra le mani: il linguaggio riflette più
da vicino le impressione registrate dai sensi. Non stiamo parlando
già di comportamentismo? O dell’ampliamento, della trasposizione
di tecniche cinematografiche? L’occhio del lettore, il suo udito,
il suo tatto vengono continuamente sollecitati.
Ecco, per esempio, come la scrittrice mostra Saintagne mentre osserva
Lorenzo che va a incontrare Chiristianne: “Prima aveva visto
sparire dentro il portone la testa di Lorenzo, poi la sua sciarpa
rossa e il suo braccio – una parte del cappotto svolazzava ancora
nella via; e aveva visto un piede che, dopo essersi appoggiato sul
selciato, era sparito con tutto il resto…”.
Oppure, ecco Christianne al suo pianoforte, osservata da Lorenzo:
“Poi la vide che girava una pagina, si chinava in avanti, stendeva
le braccia aprendo le mani e affondando le dita nei tasti come se
avesse voluto plasmarli, impossessarsene fino in fondo e poi farli
a pezzi”.
In questo assemblaggio di spazi chiusi, appartamenti, uffici, un ristretto
numero di personaggi, sognano, deambulano, si incontrano ma è
come se non si vedessero, e compiono quel giorno i gesti di tutti
i giorni, meccanicamente, eccetto due episodi: Lorenzo diventa l’amante
di Christianne per un’ora; Madeleine interviene per impedire
a suo marito la realizzazione dell’ultimo sogno che gli consentirebbe
di vivere.
I protagonisti sono cinque: due coppie, e Chiristianne
Auberson. La prima coppia è composta da Lorenzo e sua madre,
presso la quale egli abita. La seconda da Saintagne e sua moglie,
Madeleine.
Fernand Lorenzo è bello; l’intero suo essere si riassume
nella bellezza del suo corpo e, ancor di più, del suo volto.
Una traiettoria logica lo condurrà, in assenza di Sabina –
la sua fidanzata – dal nido materno al corpo di Christianne,
la quale è innamorata di Saintagne, spasimante tradito. Saintagne
e Lorenzo svolgono entrambi lavori noiosi e ripetitivi al BIT (l’Ufficio
Internazionale del Lavoro). Saintegne è animato dal desiderio
di fuggire dalla cappa di monotonia e di mediocrità che pervade
la sua vita. Ma ogni suo tentativo di emanciparsi dal destino che
lo vuole ancorato a una lamentevole esistenza di burocrate –
agli ordini di un superiore deficiente, dentro un ufficio che odia
– abortisce miseramente.
Ha cominciato a costruire un aereo; ma le spese per il parto –
sua moglie gli ha appena dato un figlio – lo hanno privato dei
soldi con i quali contava di acquistare il motore. È innamorato
di Chiristianne Auberson, ma se la fa soffiare da Lorenzo. Vorrebbe
abbandonare la sua assurda esistenza da burocrate, intraprendere qualche
cosa, partecipare alla guerra di Spagna, andare a stabilirsi in una
fattoria in Provenza; ma sua moglie, che non vuole lasciare la grande
città, saprà come trattenerlo. Ed egli non sarà
nemmeno in grado di approfittare di un richiamo del suo padrone, pronto
a licenziarlo, per realizzare quella liberazione che sogna da tanti
anni.
Una delle pagine più intense del romanzo è quella in
cui si vede Saintagne rientrato in casa, dopo il fallimento di quella
grande occasione che non era stato capace di cogliere al volo: “Cera
tutto ciò che aveva previsto. Le pantofole con i pompons…”.
Basterebbe ai suoi occhi, per voltare i tacchi e fuggire. Sarà
il suo attaccamento al figlio – l’idea di sacrificarsi
per lui – a fornire l’alibi alla sua impotenza e alla
sua vigliaccheria.
Queste le parole dedicate al romanzo della Rivaz
da parte di Thierry Maulnier: “Il mondo dipinto da Madamoiselle
Rivaz è un mondo squallido, grigio, sommesso, dove non sboccia
mai il respiro umano. A coloro che lo abitano, la speranza è
ignota, ma nemmeno sono concesse le nere risorse della disperazione
né più sono permesse. […] Gli stessi sogni sono
mediocri, e condannati, per l’impotenza intima che rappresenta
la tara di tutti i personaggi, a un perpetuo fallimento. Il lettore
è certo che tutti questi personaggi, senza eccezioni, continueranno
fino alla morte a vivere piegati sotto lo stesso giogo monotono, incapaci
di liberazione e di rivolta, incapaci persino di vera sofferenza”.
Thierry Mualnier, quindi, chiude scrivendo questi due giudizi.
Il primo: “Nel romanzo di Alice Rivaz non esiste alcuna meditazione
sulle tare della società moderna, nessuna requisitoria rivoluzionaria.
Le categorie sociali che vi sono dipinte non appartengono nemmeno
a quelle sulle quali pesa il fardello più pesante della nostra
civilizzazione. Non si vede l’uomo curvo sotto la legge del
bronzo, esaurito, condannato a prelevare sulla sua stessa carne il
tributo al dio del ferro dell’industria. Il destino degli eroi
della Rivaz regna silenziosamente su comodi quartieri della grande
città, negli appartamenti piccolo-borghesi, negli uffici dove
regnano i funzionari logori, i dossier e le statistiche. Niente fiamme
infernali, niente omicidi e poche lacrime: bensì un intero
mondo che sembra inghiottirsi nell’asfissia universale”.
E il secondo: “Pochi romanzi – compresi i romanzi americani
– ci hanno rivelato con mezzi sobri come quelli utilizzati da
Madamoiselle Alice Rivaz, il terribile potere di soffocamento del
mondo moderno. Potere tanto più grande nel momento in cui trova
i suoi complici tra le stesse vittime che ne sono schiacciate”.
Più sensibile alle qualità profonde
di Nuvole fra le mani - perché più fondato
su una simpatia intuitiva che sull’analisi intellettuale - lo
studio di Hélène Démétriadès va
direttamente all’essenziale: “Nuvole fra le mani
unisce due qualità difficili da equilibrare, dalla cui fusione
nasce la bellezza: il dono della concretezza, un senso metafisico
della realtà”.
L’Autore:
Definita la Grande Dame
della letteratura svizzera, Alice Rivaz (qui
la scheda Autore completa) nasce nel 1901 a Rovray. Dalla più
tenera infanzia vive sulle rive del lago di Ginevra, dove lavora fino
all’età della pensione al Burea International du Travail.
Nel mondo degli impiegati degli Organismi Internazionali ambienta
il suo primo romanzo L’ora prima (Nuages dans le
main – 1940), che rivela la capacità della Rivaz
di costruire la trama attraverso la vita interiore dei personaggi,
con immagini, parole e sensazioni. Nel 1945 pubblica Un peuple
immense et neuf (Un popolo immenso e nuovo), un invito
alle donne a prendere in mano la penna, ma la tematica femminile esplode
nel romanzo-pamphlet La paix des ruches (1947, La pace
degli alveari); un testo che anticipa di due anni i temi della
riflessione femminile trattati da Simone De Beauvoir.
Nel 1961 esce la raccolta di racconti Sans Alcool e, nel
1966, Compez vos jours (Contate i vostri giorni),
riflessione narrativa in undici stazioni sulla vita di una donna.
L’Alphabet du matin, (1968, L’alfabeto del
mattino) è l’ariosa rievocazione autobiografica
dell’infanzia. Le creaux de la vague (1971, Il
cavo dell’onda) è la continuazione di Comme
la sable, del 1946, ambientati nel mondo del lavoro al BIT. Nel
1973 escono i racconti di De mémoire et d’oubli
(Di memoria e d’oblio). Nel 1979 vede la luce Jette
ton pain (Getta il tuo pane), culmine tematico e stilistico
della scrittrice. Nel 1992, carica di riconoscimenti letterari, Alice
Rivaz si ritira in una casa di riposo nei pressi di Ginevra. Muore
nel 1998.
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